Agincourt

25 Ottobre 1415

Crispino e Crispiniano, santi, martiri, i resti erano all’altare a loro dedicato a S. Lorenzo in Panisperna. Oggi sono conservati, unitamente a quelli dei martiri Fortunato e Bonifacio e di molti altri, nella sacrestia della chiesa. Nel giorno della loro festa e durante la Stazione Quaresimale vengono esposti ai fedeli. I martiri romani Crispino e Crispiniano, periti durante la persecuzione militare della fine del secolo III a Soissons, sono così ricordati nel M.R.: 25 Ottobre - A Soissons, in Francia, i santi Martiri Crispino e Crispiniano, nobili Romani, i quali, nella persecuzione di Diocleziano, sotto il Preside Riziovaro, dopo crudeli tormenti furono trucidati colla spada, e così conseguirono la corona del martirio

 

Il discorso del Re dall'Enrico V di Shakespeare

 

Nella redazione di Auxerre del Martirologio Geronimiano sono ricordati al 25 ottobre Crispino e Crispiniano come martiri di Soissons; ivi, infatti, nel secolo VI esisteva una basilica a loro dedicata di cui parla a più riprese Gregorio di Tours. L'itinerario inserito nei Gesta Regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury ricorda gli stessi martiri come sepolti nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo sul Celio a Roma; questa notizia, però, dipènde probabilmente dalla passio di questi due ultimi santi, in cui, peraltro, I'episodio è considerato un'aggiunta posteriore, sebbene si sia preteso difenderne l'autenticità storica attraverso il presunto ritrovamento dei sepolcri. Di Crispino e Crispiniano esiste una passio scritta verso la fine del sec. VIII, infarcita dei soliti luoghi comuni. I due santi, di origine romana, si sarebbero recati in Gallia insieme con altri al tempo di Diocleziano, e stabiliti a Soissons dove avrebbero esercitato il mestiere di calzolai a favore dei poveri, non trascurando di propagandare la fede cristiana. Saputo ciò, I'imperatore Massimiano li fece arrestare per mezzo di Riziovaro che con lusinghe, minacce e tormenti, cercò di farli apostatare; a nulla valsero i tentativi, anzi fu Riziovaro che, in un accesso d'ira dispettosa, si gettò nel fuoco incontrandovi la morte. Per vendicare il suo ministro, Massimiano condannò i due santi alla pena capitale. I loro corpi, dopo essere stati nascosti per un certo tempo da due vecchi, finita la persecuzione, furono posti in due sepolcri sui quali venne edificata una basilica. Nonostante le contraddizioni e la poca attendibilità delle fonti si può ritenere che Crispino e Crispiniano siano due martiri romani periti durante la persecuzione militare della fine del secolo III a Soissons, dove furono creduti santi locali e donde alcune loro reliquie furono portate a Roma. Per l'allusione della passio al mestiere da loro esercitato, i due martiri sono invocati come patroni dei calzolai.

 

Battaglia di Azincourt

Parte della Guerra dei cent'anni

Data: 25 ottobre 1415

Luogo: Azincourt, Pas-de-Calais, Francia

Vittoria decisiva inglese

Schieramenti

England Arms 1405.svg Regno d'Inghilterra Blason France moderne.svg Regno di Francia

Comandanti

England Arms 1405.svg Enrico V d'Inghilterra Armoiries Albret moderne.svg Carlo I d'Albret †

Boucicaut.svg Jean Le Meingre

Effettivi

A):

* 6.000 uomini:
• 5.000 arcieri
• ca. 1.000 uomini d'arme e cavalieri appiedati

B):

* Secondo il A. Coville: 13.000 uomini

A):

* ca. 36.000 uomini:
• 20.000 fanti
• 12.000 cavalieri
• 4.000 arcieri e balestrieri

B):

* Secondo il A. Coville: 50.000 uomini

Perdite

150 - 500 morti 7.000 - 10.000 morti

1.500 - 3.000 prigionieri

Guerra dei cento anni

Sluis –Caen –Blanchetaque –Crécy – Calais – Poitiers – Auray – Nájera – Montiel – La Rochelle – Agincourt – Rouen – Baugé – Meaux – Cravant – Verneuil – Orléans – Patay – Compiègne – Gerbevoy – Formigny – Castillon

La battaglia di Azincourt (o di Agincourt) è considerata uno dei momenti più cupi della storia della Francia e al contrario uno dei più fulgidi della storia dell'Inghilterra e del suo re Enrico V.

Antefatto

Re Enrico V d'Inghilterra, divenuto sovrano del Regno d'Inghilterra, il 20 marzo del 1413, a quasi ventisette anni, era considerato giusto, pio, cavalleresco, spietato rappresentava il prototipo ideale di re medievale, ed era ansioso di farsi onore sul campo di battaglia, onde rinnovare le vittorie del secolo precedente e, con l'aiuto di Dio, rimettere in uso le crociate, ma soprattutto era austero, presuntuoso e di ambizioni illimitate e da subito risuscitò le pretese vantate da suo bisnonno, Edoardo III, sulla corona di Francia.

Al tempo della sua ascesa al trono (1413), Enrico trovava un'Inghilterra profondamente provata da faide e lotte intestine che con il passare del tempo avevano di fatto messo in ginocchio il paese e la popolazione, ormai stanca. Il sovrano pensò bene di trovare una soluzione che non solo avrebbe giovato al morale della popolazione, ma unito il suo regno e rafforzato la popolarità della dinastia di Lancaster su tutto il territorio: una vittoriosa campagna contro la Francia.

Dapprima, nello stesso anno (1413), Enrico ottenne l'alleanza del duca di Borgogna, Giovanni Senza Paura, per combattere gli Armagnacchi, mentre Giovanni sarebbe rimasto neutrale, nel caso che Enrico avesse attaccato il re e il delfino di Francia.

Forte dell'alleanza con Giovanni, nell'agosto del 1414, Enrico avanzò delle richieste talmente oltraggiose che il governo francese non poté accettare; in breve Enrico chiedeva: la corona di Francia, i feudi angioini dei plantageneti, incluso il ducato di Normandia e parte della Provenza, ed inoltre la parte del riscatto di re Giovanni II (catturato a Poitiers), non ancora pagato, ed infine la mano di Caterina figlia del re di Francia, Carlo VI, più una cospicua dote di 2 milioni di corone francesi.

Per la Francia non poteva esserci un momento storico peggiore per ricevere un simile oltraggio: il governo di Carlo "il Pazzo" aveva di fatto portato il paese in uno stato di totale anarchia dove Armagnacchi e Borgognoni si contendevano il potere. Comunque, verso la fine del 1414, fu inviata una grossa ambasceria (circa 600 membri), che incontrò Enrico V a Winchester e gli offrì la mano di Caterina, più una grossa dote e una parte dell'Aquitania. Enrico reagì male e si arrivò alle parole scortesi; Enrico allora intimò agli ambasciatori di andarsene.

I negoziati tra i due paesi rivali si interruppero e Enrico continuò a preparare l'invasione della Francia.

La spedizione fu preparata con cura, era stata predisposta una grande quantità di materiale bellico (macchine d'assedio, pezzi d'artiglieria e pontoni e anche armature e armi, immagazzinate dentro a delle botti) raccolto dai provveditori reali, nei magazzini di Londra.

Il 13 agosto 1415, la flotta inglese arrivò a Cap de la Hève, alla foce della Senna, nei pressi di Le Havre, il 14 l'esercito inglese era sbarcato e alcuni giorni dopo mise l'assedio a Harfleur, porto che avrebbe, una volta conquistato, fatto da tramite per il suo esercito. Contro ogni aspettativa la popolazione di Harfleur si era preparata al lungo assedio che avrebbe dettato l'esercito inglese, rinforzate le mura e allagata la pianura circostante, costrinse l'esercito della corona ad un duro assedio. Col passare del tempo, tanto tra gli assediati quanto tra gli assedianti, iniziava a scarseggiare il cibo e l'aria poco salubre delle paludi, il duro lavoro imposto ai soldati per creare efficaci avamposti d'attacco (trincee) e viceversa difendersi (la popolazione era spesso chiamata a ricostruire le mura della città rovinate dai colpi d'artiglieria), le umide notti invernali, iniziarono a far pagare pegno, epidemie di febbri e dissenteria devastarono l'esercito inglese e la popolazione stessa.

Il 22 settembre 1415 la città cadde e, dopo alcuni giorni, re Enrico decise, contro il parere di tutti, di proseguire la sua marcia verso Calais, dove avrebbe voluto svernare. Lasciato un piccolo contingente di 1200 uomini a difendere Harfleur, il re iniziò la propria marcia con un seguito di circa 6000 uomini, di cui 5000 arcieri e solo 1000 uomini d'arme (per Alfred Coville erano 13.000 soldati).

Nel frattempo, conti, duchi, signorotti e nobili di tutta la Francia, avevano risposto alla chiamata alle armi fatta dal Delfino di Francia e dal re; ma l'esercito, anche se numericamente ben fornito (valutato dallo storico Alfred Coville sulle 50.000 unità), si era riunito presso la città di Rouen, solo ad ottobre, e le forze giunte sotto la guida dei duchi di Berry, d'Alençon, di Borbone e d'Angiò, si riunirono sotto il comando del connestabile di Francia, Carlo I d'Albret.

La battaglia


Durante la marcia dell'invasore verso Calais, l'esercito francese cercò più volte, senza apprezzabili risultati, di tendere imboscate che indebolissero fino alla distruzione l'esercito inglese, che, arrivato in Piccardia, si trovò di fronte l'armata francese.

Nonostante il parere negativo del duca di Berry, i nobili francesi approvarono, non senza disaccordi, un attacco frontale che annientasse il nemico.

Due araldi vennero inviati ad Enrico dai nobili francesi, essi riferirono al re che dal momento che lui era venuto a conquistare il loro paese, i francesi l'avrebbero combattuto in qualsiasi luogo e momento. Enrico replicò dicendo che avrebbe proseguito la propria marcia verso Calais e che i francesi avrebbero ostacolato la sua marcia a loro rischio e pericolo, poi ricompensò gli araldi con dell'oro e accampò il proprio esercito nella cittadina di Maisoncelles. All'alba del 25 ottobre 1415, giorno di San Crispino e Crispiniano, i due eserciti cominciarono a schierarsi. I francesi schierarono il loro esercito nella pianura adiacente tra Azincourt (Agincourt) e Tramecourt, come per sbarrare la via verso Calais; ordinato su tre file di uomini, lo schieramento francese prevedeva l'utilizzo di uomini d'arme appiedati al centro, sostenuti da arcieri e balestrieri e, ai lati, formazioni di cavalleria pesante.

Dal canto suo, Enrico V, schierò in tre piccole formazioni gli uomini d'arme capitanate dal duca di York, da Lord Camoys e dal re in persona. Gli armigeri vennero rafforzati dagli arcieri che, in formazioni triangolari, andarono a comporre una linea d'attacco leggermente concava.

Alle undici del 25 ottobre del 1415, si iniziò la battaglia. Al grido "San Giorgio, San Giorgio", l'esercito inglese iniziò la propria marcia verso lo scontro, d'altro canto, i francesi nettamente superiori per numero, convinti di dettar le regole del gioco, si sentivano ora disorientati. Giunti a 200 metri dalle forze francesi, gli arcieri del re iniziarono a piantare una serie di pali appuntiti nel terreno fangoso e una volta difesi iniziarono a riversare frecce sui francesi. La cavalleria scelta francese provò a controbattere, ma le condizioni del terreno e la pioggia di dardi rendevano nulla la corsa dei cavalieri che, in più, giunti alle palizzate erano facili vittime del nemico. La grande colonna dei cavalieri appiedati invece avanzava molto lentamente nel fango. Solo un attacco frontale andò a segno e fece indietreggiare le linee inglesi, ma per poco. Enrico passò all'offensiva e dopo un'altra ondata di frecce, ordinò una carica generale, alla quale si unirono anche gli arcieri equipaggiati con armature leggere e nell'imbuto che si era creato caddero migliaia di nobili, conti e duchi di tutte le parti della Francia, molti morirono subito, altri vennero catturati e uccisi, oltre che per paura di ritorsioni future, anche e soprattutto per l'instabile situazione che vedeva i pochi inglesi timorosi che, ad un eventuale contrattacco francese, portato da forze fresche o dalla riorganizzazione di quelle in rotta, i numerosi prigionieri potessero raccogliere l'immensa quantità di armi sul terreno e sopraffarli. Una parte del grande esercito francese (composto secondo alcune stime da 10.000 fanti e 8.000 cavalieri, secondo altre di un totale di 25.000 uomini, secondo il Coville di 50.000) infatti, segnatamente la terza linea, disertò ingloriosamente in massa, dopo aver visto il tragico destino delle due linee che la precedevano, e si disperse nella boscaglia. Questo però lasciò agli inglesi il dubbio che potesse trattarsi di una manovra di aggiramento ed il susseguente attacco al campo inglese, in realtà una semplice opera di brigantaggio, priva di qualsivoglia intento tattico, del signore di Azincourt che si impossessò persino della corona di Enrico, fece davvero temere che tale aggiramento fosse in atto. In effetti Enrico, vista l'esiguità delle sue forze ed il grande numero di francesi in rotta, ebbe ancora per diversi giorni il timore di un secondo attacco nemico che avrebbe potuto capovolgere l'esito della battaglia.

Alle quattro del pomeriggio la battaglia era già finita con un disastro francese ove morirono, combattendo per la Francia, dai 7000 ai 15000 uomini tra cui il connestabile di Francia, Carlo I d'Albret, e il fratello di Giovanni Senza Paura, Filippo Conte di Nevers, mentre caddero prigionieri, oltre ad uno dei comandanti sul campo, Jean Le Meingre, il capo della fazione degli armagnacchi, il duca d'Orleans Carlo, e l'altro fratello di Giovanni Senza Paura, Antonio Duca del Brabante,  che poi fu ucciso con altri prigionieri francesi. Fu una grande vittoria, ed Enrico V ben presto rivendicò le sue pretese.

La Francia aveva peccato di presunzione sentendosi più forte numericamente, credendo nei suoi uomini più importanti, che poi finirono in rovina, l'Inghilterra si fece lustro grazie all'ingegno di Enrico V, che fu ammirato in tutta Europa, un uomo e un re che vendette cara la pelle anche in battaglia, un eroe per il suo popolo.

 

Il discorso del Re dall'Enrico V di Shakespeare

Marcello Salvi

 

 

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